La Madonna dell’Umiltà di Gregorio di Cecco
Nel Museo dell’Opera Metropolitana di Siena possiamo ammirare, tra una moltitudine di altre splendide opere, anche una bellissima pala a fondo oro, incorniciata da una fine carpenteria intagliata archiacuta, raffigurante una Madonna che allatta il Bambino circondata da angeli musicanti.
Si tratta dell’unica opera firmata e datata di un pittore senese di inizio Quattrocento, Gregorio di Cecco, figlio adottivo del più noto Taddeo di Bartolo, protagonista sulla scena artistica senese di fine Trecento. La tavola, realizzata per essere posta sull’altare della Visitazione nella Cattedrale senese, fu commissionata dalla famiglia Tolomei e rimase nella sua sede preposta fino agli inizi dell’Ottocento, quando venne rimossa.
Purtroppo resecato nel corso dei secoli, il complesso polittico originario comprendeva non solo questa tavola centrale, ma anche altri scomparti laterali con figure di Santi. Il tutto coronato da una splendida carpenteria ancora in gran parte conservata, di forme tardogotiche realizzata da Domenico di Niccolò “dei Cori”, altro artista di spicco della scena senese di quel periodo.
Osservando questa opera, anche al più “profano” tra gli osservatori, salterà subito all’occhio la sua finezza esecutiva: dettagli di straordinaria eleganza nelle vesti, nella resa anatomica delle carni, nella lavorazione dell’oro del fondo e nelle aureole dei personaggi. Oltre a questo, l’osservatore più attento ed esperto noterà anche molto altro. Si tratta di un’opera complessa nella sua iconografia, ricercata e raffinata, ma anche molto arcaica da un punto di vista stilistico.
La narrazione si svolge tutta sulla superficie del dipinto e l’artista sembra non interessarsi minimamente di suggerire un senso prospettico o di profondità, squadernando anzi la composizione delle figure tutta su di un piano. Sia la Vergine che gli angeli sono volutamente “schiacciati” in superficie secondo i dettami dell’arte due-trecentesca. Rimane il fatto che siamo nel 1423, data importante in quanto a Siena Donatello e Ghiberti già lavoravano al bellissimo fonte battesimale del Battistero, in stile pienamente rinascimentale, ed a Firenze Gentile da Fabriano licenziava la sua celeberrima “Adorazione” Strozzi.
Siamo in anni di un fermento innovatore che a Siena trovava ancora poca eco. La grande tradizione senese si riallacciava ancora, volutamente, ai grandi del secolo passato, Duccio, Simone e i Lorenzetti. Nella pala in questione Gregorio di Cecco sembra voler cercare soluzioni ancor più arcaiche, come il ricorso ad un’ormai desueta crisografia dorata (di remota ascendenza bizantina) sulla veste della Madonna, che così lavorata si riduce ad un sontuosissimo grafismo poco o nulla realistico. Nel complesso si ha l’impressione che l’artista abbia voluto creare un’opera dal tono elegante e ieratico, proprio come un’antica icona bizantina, in cui fosse data evidenza al carattere sovraumano della scena, in controtendenza rispetto ai dettami umanistici allora agli albori, che privilegiavano il lato terreno delle scene sacre. Delicatezze decorative di marca cortese e tratti fisionomici dei personaggi possono al più rimandare all’arte coeva di Masolino da Panicale e della sua cerchia, benchè quest’ultimo avesse già a quell’altezza risentito dell’influenza rivoluzionaria di un Masaccio. In definitiva l’opera di Gregorio può considerarsi come l’estrema, splendida gemmazione fiorita da un albero, quello del gotico trecentesco, ormai in decadenza, superato dagli eventi che andavano svolgendosi nelle capitali del Rinascimento.