Palazzo Bianchi Bandinelli

Palazzo Bianchi Bandinelli

Palazzo Bianchi Bandinelli

Palazzo Bianchi Bandinelli trova le sue origini a cavallo tra XVIII e XIX secolo, esattamente tra il 1795 ed il 1804, eretto sulle fondamenta del Monastero di Ognissanti. L’edificio sorge sulla famosa ed antica Via Francigena, a pochi passi da Porta Romana.

In principio appartenente alla famiglia Bianchi, la dimora familiare passò successivamente nelle mani di Giulio Bianchi Bandinelli, Governatore di Siena durante il periodo napoleonico, che si impegnò a riedificarlo completamente con un elegante Stile Impero, assai diffuso in quegli anni.

Annesso al palazzo, un meraviglioso giardino, creato e modellato sull’esempio di quelli francesi, si allunga sul lato lungo dell’edificio.

Palazzo Bianchi Bandinelli corte

Palazzo Bianchi Bandinelli-corte interna

All’interno, le aree comuni ed alcuni ambienti di rappresentanza, sono decorati con dipinti ed affreschi di tema mitologico, in stile neoclassico, opere dell’illustre pittore italiano Luigi Ademollo (1764-1849), chiamato a Siena dal Bianchi nel 1803. Tra i temi trattati, ricordiamo lo Sposalizio di Alessandro, il Sacrificio di Numa, gli Dei dell’Olimpo, Quadrighe e paesaggi. Vincenzo Dei (Aurora e Ballo di Ninfe) ed il luganese Pietro Rossi (per gli stucchi) collaborarono all’impresa. L’edificio era provvisto anche di una cappella interna, purtroppo andata oggi distrutta.

Palazzo Bianchi Bandinelli scalone

Palazzo Bianchi Bandinelli-scalone

All’esterno, sul muro che sorregge il giardino del palazzo, è presente un’edicola che sino al XIX secolo conteneva un bassorilievo con una Madonna con Bambino, sostituita oggi da una moderna ceramica: rimane solamente la bella incorniciatura datata 1477 e lo stemma dei monaci di San Galgano (una spada conficcata nella roccia).

Ricordiamo che qui, il 19 febbraio del 1900, ebbe i suoi natali il famoso archeologo, storico dell’arte e politico Ranuccio Bianchi Bandinelli, “uomo vivo fino agli ultimi istanti, ancora intento, sul letto di morte, ai suoi studi, è per me una forma di autobiografia; ed è questo, non già l’antico affetto, che mi lega la penna e mi intorpidisce il sangue” (Cesare Brandi).