Una perla del Rinascimento a Siena: la Pala Borghesi
La Basilica di San Domenico a Siena, una delle più importanti del corpus di chiese intra moenia, oltre ad essere uno degli esempi più mirabili di gotico cistercense a Siena è anche un meraviglioso scrigno di opere d’arte. Basti pensare al reliquiario con la testa di Santa Caterina, alla tela con la Canonizzazione della Santa dipinta da Mattia Preti nel 1672, passando dal Martirio dei Santi Sebastiano, Caterina, Sigismondo e Vincenzo Ferrer di mano del Sodoma (XVI sec.), fino all’Adorazione del Bambino di Francesco di Giorgio Martini del 1490.
Entro una piccola nicchia è possibile ammirare inoltre un affresco staccato di Pietro Lorenzetti raffigurante la Madonna col Bambino, il Battista e un cavaliere inginocchiato (1325), proveniente dal chiostro dello stesso complesso di San Domenico; e ancora pale d’altare e tele di Guido da Siena, Matteo di Giovanni, Francesco Rustici, Francesco Vanni, Alessandro Casolani. Tutte opere di altissimo livello che arricchirono il corpus artistico della chiesa dal Trecento al Settecento.
In questa sede però vorremmo sottolineare l’importanza di una grande pala non molto conosciuta, che si trova nel transetto sinistro entro una cappella di proprietà anticamente della famiglia Borghesi, raffigurante una Sacra Conversazione di mano del pittore senese Benvenuto di Giovanni. Di questo artista possediamo informazioni biografiche che risultano piuttosto lacunose.
Nacque a Siena nel 1436 e seguì un apprendistato presso il Vecchietta, artista molto in voga in quel periodo. Sviluppò nel corso degli anni uno stile assai raffinato ed elegante, come suggeriscono le opere che di lui ci rimangono, dalla pala con l’Adorazione dei Magi ora a Washington (recante echi di Gentile da Fabriano) a quella di San Fortunato a Vescovado di Murlo, in cui sono evidenti derivazioni dall’arte ferrarese e padovana della metà del Quattrocento. Benvenuto si dedicò molto anche alla miniatura e licenziò nel corso della sua lunga carriera opere di vasto respiro, come la grande pala con l’Ascensione di Cristo ora nella Pinacoteca senese. Morì a Siena nel 1516, lasciando una bottega fiorente di cui fece parte anche il figlio Girolamo.
La pala che qui vogliamo analizzare, la cui commissione gli venne direttamente dalla potente famiglia senese dei Borghesi, si colloca pressappoco a metà del percorso artistico di Benvenuto: la casata desiderava un’opera di qualità altissima per sottolineare il proprio prestigio, che si collocasse all’interno della cappella di famiglia in San Domenico.
Nacque così un’opera grandiosa e di rara bellezza, raffigurante una Madonna in trono con Bambino e Santi (Fabiano, Sebastiano, Giacomo, Giovanni Evangelista), coronata da una lunetta con il Salvatore in Pietà sorretto da due angeli dolenti. La pala risale agli ultimi anni settanta del Quattrocento (ancora irrisolta la querelle relativa a certi documenti che ne attestano o smentiscono la datazione precisa). Quello che è certo è che la famiglia Borghesi richiese espressamente al pittore una tavola “riccha et grande”, cioè fastosa, imponente e di alta qualità. In questa occasione Benvenuto si trovò a dover lavorare per una casata di vasta cultura umanistica, nonché molto potente, il che spiegherebbe l’esecuzione perfetta dell’opera.
Ad una prima osservazione notiamo come la Sacra Conversazione si svolga in un ambiente unitario, privo perciò della tradizionale ripartizione dei polittici, delimitato da un pavimento marmoreo con commessi multicolori che si inoltra in profondità, sebbene chiuso sul fondale dall’immancabile fondo oro che dà alla scena un sapore prettamente ultraterreno. In primissimo piano si presentano a noi i Santi Sebastiano e Giovanni Battista, inginocchiati e riverenti verso la Vergine, i cui scorci perfetti dei visi ci rivelano l’attenzione di Benvenuto per la resa epidermica del reale. Subito dietro di loro, altri due santi, Sebastiano e Fabiano, in piedi, ci appaiono imponenti e solidi come statue marmoree. Nel caso di Fabiano vediamo come l’attenzione al reale dell’artista sfiori vette altissime nel piviale di velluto controtagliato con lo stolone in oro lavorato.
Certi particolari nella lavorazione finissima di questi abiti ci rimandano direttamente all’arte nordica coeva, padovana e tedesca, e svelano un’attenzione spiccata per l’arte orafa e degli incisori del nord Europa. La Vergine è raffigurata sul trono, meravigliosa nel suo abito di seta bianca contornato di oro, perle preziose (dettaglio di ascendenza schiettamente nordeuropea, fiamminga in particolare: si pensi a Van Eyck o a Robert Campin) ed ammantata di oltremare, come tradizione vuole.
Il Bambino sul suo grembo è raffigurato benedicente e, pur nella sua minuta statura, ha la posa e la ieraticità di un piccolo imperatore romano. Singolari risultano poi gli angeli dietro al trono che reggono un dossale di velluto lavorato che funge da schienale al trono in marmi colorati. Questi sono rappresentati con una tale dovizia di ricchi particolari che verrebbe quasi da associarli ad un Crivelli coevo, coerentemente a quanto detto finora. Una certa spinta in direzione della bottega padovana dello Squarcione, fucina di talenti in cui si formarono Mantegna e lo stesso Crivelli, sembra confermata se inoltre si osservano le pose degli angeli, la resa minuziosa degli incarnati, i ricchi gioielli che ne ornano le vesti ed i capelli, i dettagli eleganti nelle pose delle mani e nei gesti.
Si evidenzia perciò come l’arte di Benvenuto fosse oltreché arricchita di un substrato schiettamente senese e di elementi provenienti dall’arte nordica, fiamminga e marchigiana, ben evidenti anche nella soprastante lunetta con l’iconografia (insolita per Siena) del Cristo morto sorretto da due angeli. E’ possibile trovare esempi analoghi, nell’arte del Crivelli, nel Polittico di Ascoli Piceno, così come in altri appartenenti all’area veneto-marchigiana (Marco Zoppo, Bellini, Giovanni Boccati). Qui si notano particolari di struggente realismo “nordico”, dalle trasparenti lacrime che rigano i volti degli angeli, corrucciati dal dolore, alle labbra esangui che testimoniano l’avvenuta morte del Cristo. Lo stesso paesaggio brullo e roccioso in cui la pietà si svolge non può non ricordare il primo Mantegna, Bellini e il Crivelli stesso.
In conclusione, questa pala di così alta qualità pittorica e compositiva va collocata ai vertici del rinascimento senese, periodo ancora non molto noto, in quanto Siena era in quell’epoca considerata una capitale minore, “schiacciata” dai contemporanei sviluppi fiorentini e romani. Poter ammirare l’opera dal vero è emozionante, per la sua buona conservazione e per l’ubicazione nel luogo di destinazione originario, allorché sembra di poterla osservare come se fosse appena terminata, brillante nei suoi colori altissimi di tono e commovente nei suoi giochi di sguardi fra i partecipanti alla scena sacra. Una vera e propria perla, un gioiello prezioso che la Siena quattrocentesca ancora orgogliosamente sapeva produrre.